Da : “il portone della
scuola”
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Comincia l'anno scolastico e la nuova fase della vita; il Liceo
scientifico è il più noto nella nuova città. C'è un tragitto piuttosto lungo
per arrivarci, ma nulla è troppo per avere il meglio!
Una strada piena di sole e
di storia.
Dietro alle spalle il
simbolo più noto delle origini del popolo italiano, il Colosseo, davanti il
candido testimone della Repubblica Italiana, nel mezzo un severo palazzo con la
base di pietra "a bugnato" dell' ex convento, le finestre alte e severe, ancora una volta
di legno grigio, ( il ministero della P.I. deve avere scorte infinite di
vernice grigia!) ed un grande portone nero, che si chiude alle ore 8.30, e si
riapre solo alle 13.30, cascasse il mondo!
Dietro al portone quella
breve salita scura, poi il cortile con il portico da una parte, le scale
interne in vecchia pietra e i corridoi e le aule con il piancito in legno
consumato dall'uso.
Nelle vecchie aule i
banchi a gradinata con le ribaltine nere ed i sedili fissi, naturalmente grigi,
con le incisioni accumulate nei lunghi anni d'uso, che saranno lentamente sostituiti dai nuovi banchi in formica verde,
ma mai verrà a finire quell'odore di
legno vecchio ed impolverato, imbevuto delle più impregnanti e varie
essenze umane, cotto dal sole estivo che penetra dalle finestre prive di scuri,
misto al profumo delle sostanze usate nelle pulizie.
E del grande portone
rimarrà indelebile nelle orecchie il sordo rumore del catenaccio che non
perdona i ritardi e che delimita il tempo
dell'attesa libertà al suono dell'ultima campanella.
Da : Essere Donna…
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Anni ’60. La
finestra della stanza del vecchio convento riconvertito in liceo scientifico incorniciava
una larga lama di sole, quel sole di maggio che riempiva le menti degli allievi
di immagini di libertà.
La vita premeva
contro il muro della lezione di latino, ed i secondi erano minuti, ed i minuti
ore..
Quel largo grembiule
nero, che doveva celare le braccia ormai
scoperte e le gonne più leggere lunghe fin sotto al ginocchio, pesava come una
corazza.
Finalmente la
campanella della fine!
Via il grembiule,
sulle spalle il golfino di cotone ed Anna con i libri nella borsa corre verso
la libertà sottobraccio a due compagni, uno a destra ed uno a sinistra, tre
moschettieri con il passo lungo e sicuro e il sorriso incontenibile della
gioventù e della primavera nel sangue.
La mattina seguente
Anna è convocata in Presidenza dove il Preside, uomo burbero, severo, con
grandi baffi, la rimprovera per il comportamento “poco dignitoso per una
signorina” nel dare esplicita dimostrazione di confidenza verso i compagni di
sesso opposto.
Le scuse di Anna e
l’espressione compunta son solo di circostanza, pur di fuggire da quella stanza
ammetterebbe anche un delitto. Con quei compagni c’è un cameratismo poco
“femminile”, ma che racchiude un affetto sincero che nulla potrà scalfire.
Riaffiorato tra i tanti (ormai!)
ricordi..
- Mattina di primavera. Le finestre dell’aula
sono spalancate.
I
ragazzi gironzolano tra i banchi in attesa dell’arrivo del docente chiacchierando
con le (poche) ragazze della classe.
L’aula
è troppo piccola per il numero di allievi ed i banchi su tre file la riempiono quasi
da muro a muro.
Qualcuno
si affaccia e osserva il piccolo campo in terra rossa circondato da reti che
“funziona” da campo sportivo, dove sta per arrivare un gruppo di studenti con
il professore di educazione fisica, un giovane docente pieno di energia.
Nell’aula
un paio di ragazzi inizia a fare degli aeroplanini di carta sfidandosi nel volo
più lungo.
“Guarda..
sembra un jet!”, “Eh no! Il mio vola più lontano.. guarda…” e tutti osservano
la splendida virata verso lo spazio aperto della finestra… fino a giù nel
campetto rosso.
Imitare
la cosa ormai è una sfida e tre o quattro missili di carta partono verso
l’ignoto.
Qualcuno
è affacciato per vedere il percorso quando la voce del professore di educazione
fisica lancia un esasperato :
- ” Smettetela che ora arrivo io! Che classe è
quella lì ?!”
Il
solito compagno burlone si affaccia e risponde:
- “Non è una classe. Questo è l’aeroporto di Ciampino!”
e si ritira precipitosamente.
Poco
dopo arriva il docente della classe seguito da quello di ginnastica decisamente
incinghialato.
La
classe affronta ad occhi bassi l’inevitabile ramanzina, sembra il pentimento fatto persona, ma le
labbra serrate bloccano il riso e la soddisfazione per la battuta.
Non
ricordo come sia finita…
Come sollecitare lontani ricordi! Ciao Anna, buon pomeriggio.
RispondiEliminaEd i ricordi, incredibili, sono quelli di una scuola elementare nella quale c'erano, ancora, i banchi in legno con i sedili fissi e la ribaltina con il buco per il calamaio. Quest'ultimo già non si usava più quando iniziai ad andare a scuola. Di lì a qualche anno, scomparvero anche quei banchi. E poi si, c'era anche quel grande portone che si chiudeva inesorabilmente alle 8,30. Non c'era ancora l'entrata consentita alla seconda ora oppure il "ritardo giustificato" che, come i banchi in formica, arriveranno anni dopo. E poi c'era il maestro, giovane, un omone grosso del quale ricordo ancora il nome: Perinelli Maurizio. E ricordo anche la sua bacchetta nera, con la quale impartiva le "punizioni" agli scolari più indisciplinati: allunga il braccio, gira il palmo della mano in alto, e zacchete, bacchettata! Sacrosanti e rimpianti sistemi educativi!
Sembrano i ricordi di un'altra epoca e, invece, è stata la nostra!