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24 dicembre 2020

 POESIA DI NATALE 

  Avevo forse tre anni (o poco meno) quando mio padre mi fece imparare a memoria la “poesia per Natale” da recitare il giorno di festa, in piedi sulla sedia a capotavola, per il “diletto” dei familiari commensali. È una poesia che, per me, ha il profumo di una tradizione d’altri tempi, quando bastava la tovaglia ricamata e il servizio di piatti “buono” per farti sentire “la festa”. 

Allora il Natale era una ricorrenza religiosa e basta. Non c’erano babbi natale né alberi di natale, e i regali li portava solo la Befana. Lo spirito natalizio era legato esclusivamente al presepio, con le sue statuine che percorrevano le straducce lentamente nei giorni precedenti, con i Re Magi lontani lontani che “venivano dall’oriente”, un luogo misterioso da cui arrivava anche la stella “con la coda”.  

La “sala da pranzo” era stata tirata a lucido per l’occasione, (solitamente si pranzava in soggiorno, la cucina abitabile d’allora), nell’angolo il presepe su di un tavolino, e tutte le stoviglie e i “cristalli di famiglia”, normalmente custoditi religiosamente nelle “cristalliere”, messi in bella mostra sulla tavola apparecchiata secondo le regole “della buona società”. 

Alla fine del “pranzo di Natale” dopo la frutta e prima del dolce (un unico panettone, una vera rarità per allora, che lo zio di Verona ci faceva arrivare da Milano... non ricordo come) la “bambolina” abbigliata con l’abitino “bello”, veniva fatta salire sulla sedia del capofamiglia e invitata a recitare la poesia appresa: 

 

..” Udii tra il sonno le ciaramelle, 
ho udito un suono di ninne nanne. 
Ci sono in cielo tutte le stelle, 
ci sono i lumi nelle capanne. 
 
Sono venute dai monti oscuri 
le ciaramelle senza dir niente; 
hanno destata ne' suoi tuguri 
tutta la buona povera gente. 
 
Ognuno è sorto dal suo giaciglio; 
accende il lume sotto la trave; 
sanno quei lumi d'ombra e sbadiglio, 
di cauti passi, di voce grave. 
 
Le pie lucerne brillano intorno, 
là nella casa, qua su la siepe: 
sembra la terra, prima di giorno, 
un piccoletto grande presepe.... “ 

 

La mimica spontanea della piccola attrice deliziava i presenti, che sorridenti applaudivano alla fine. 

E il natale aveva la sua piccola “stella” felice della felicità pulita dei bambini. Il semplice dono di una fettina di quel dolce panettone era la “corona” di regina della festa. 

Nulla serviva di più per rendere omaggio alla nascita del bimbo celeste, unico motivo di quella festività. 

Qualche anno dopo ho imparato anche la seconda parte della poesia, che esprime sentimenti più “adulti” e tanto veri: 

 

“...Nel cielo azzurro tutte le stelle 
paion restare come in attesa; 
ed ecco alzare le ciaramelle 
il loro dolce suono di chiesa; 
 
suono di chiesa, suono di chiostro, 
suono di casa, suono di culla, 
suono di mamma, suono del nostro 
dolce e passato pianger di nulla. 
 
O ciaramelle degli anni primi, 
d'avanti il giorno, d'avanti il vero, 
or che le stelle son là sublimi, 
consce del nostro breve mistero; 
 
che non ancora si pensa al pane, 
che non ancora s'accende il fuoco; 
prima del grido delle campane 
fateci dunque piangere un poco. 
 
Non più di nulla, sì di qualcosa, 
di tante cose! Ma il cuor lo vuole, 
quel pianto grande che poi riposa, 
quel gran dolore che poi non duole; 
 
sopra le nuove pene sue vere 
vuol quei singulti senza ragione: 
sul suo martòro, sul suo piacere, 
vuol quelle antiche lagrime buone! .. 

(Giovanni Pascoli) 

 

Anno 2020, uno stato di necessità ha privato la gente di tutte quelle cose superflue, che da tempo rendevano la festa un evento gravido d’obblighi e di sorrisi di circostanza, riportando, pur nella nuova opulenza acquisita nel tempo, il Natale al suo significato reale.  

 

 

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