“Se vuoi che l’albero cresca dritto devi mettergli un tutore che ne sostenga ed accompagni la crescita” mi diceva il nonno quando mi lamentavo per le “regole” imposte.
Fuor di metafora, ogni ragazzo dovrebbe avere l’attenzione ed il sostegno tutoriale sia della famiglia che della società, rappresentato dall’istruzione pubblica.
Fornero: “I nostri giovani sanno troppo poco. Non conoscono le lingue, l’italiano compreso, e neanche i rudimenti della matematica. Non sanno fare di conto”.
Questa affermazione fatta poco tempo dopo quella della quarta carica dello stato a “Porta a Porta” in merito alla sua somaronaggine fa ridere… magari amaro.
Per la dimestichezza con l’italiano poi, i parlamentari non son certo letterati, visto che fanno a pugni coi tempi verbali, e fanno la figura dei pirla se interrogati su termini desueti. (video)
E non sono certo dei “giovincelli”!
Con il “far di conto” poi nel mondo della politica c’è la dimostrazione di come la matematica SIA un’opinione, basta vedere come sanno dare i numeri in ogni occasione. Alle elezioni ad esempio non si sa come, ma vincono sempre tutti o “non perdono” secondo la loro lettura dei risultati!
Per quanto riguarda le spese per “coloro” gli zeri valgono nulla in uscita e molto in entrata!
Tornando all’analisi del ministro (mi rifiuto di chiamarla ministra perché il termine mi ricorda la minestrina in brodo! e, sinceramente mi sembra assomigli più ad una pietanza indigesta), ancora una volta esce fuori che i giovani studiano poco…
Ma Vah!?!
Negli ultimi anni la scuola è stata passata al tritacarne. Hanno infilato in un’aula più di trenta ragazzini, che raramente hanno avuto un tutore equilibrato fino a quel punto della crescita, hanno tagliato il numero degli insegnanti, hanno infilato nei programmi materie del cavolo per indottrinarli o sviluppare la creatività a danno della capacità di memorizzazione e delle conoscenze. Hanno creato tramite i media l’effimera convinzione dell’ascesa sociale solo attraverso l’apparire. Hanno generato il mostro “studio” e la principessa “ignoranza” perché questo fa comodo a loro. E ora spingono per l’apprendistato:
“Crediamo che questo possa essere una via tipica per i giovani per entrare nel mondo del lavoro. Il giovane che entra in apprendistato, infatti, lo fa per migliorare le sue conoscenze e per irrobustire la sua risorsa umana..”.
Non un valorizziamo la scuola.
Non un pensiamo di fornirle i mezzi per “rincorrere” i ragazzi difficili e portarli a scuola.
Non un pensiamo di impegnare ancor più figure nel sostegno di quelli fragili.
No! Va a laùrà Barbun! Che ti rafforzi la risorsa umana a forza di grattarti le “scatole” nell’impossibile ricerca di un lavoro che non c’è!
Ancora una volta viene a galla la completa estraneità del mondo dei signori “iosonotuttoetunonseiunc..” rispetto al vivere quotidiano della maggioranza della gente.
Emergono dai miei ricordi le facce di alcuni dei mie allievi che avevano un rapporto molto conflittuale con lo studio, fatto superare con tanti di quei calcioni negli stinchi (e sovente non metaforici!) che ancora ne portano i lividi, ma con il diploma o la laurea in tasca.
La “risorsa umana” degli adolescenti si sviluppa con l’attenzione, la pazienza e l’autorevolezza, e non con la ghettizzazione. La conoscenza si migliora con il lavoro certosino della fantasia nell’insegnamento.
Molti anni fa ho scritto alcuni miei pensieri di insegnante che potrebbero essere utili alla Signora ministro e ai suoi “simili” per meditare su cosa vuol dire “insegnare” e che mal si conciliano con le riforme attuate:
... Negli ultimi anni scolastici i risultati estremamente deludenti che ottenevo, nonostante gli sforzi didattici, mi hanno indotto a mettere in discussione il mio atteggiamento verso gli studenti, perché non trovavo né logico né giusto scaricare ogni responsabilità sulla "poca voglia di studiare dei ragazzi d'oggi" o "sulla scarsa capacità di apprendimento" (un eufemismo per definire stupido qualcuno!). Avevo, in passato, letto testi sulla didattica e ascoltate conferenze o seminari sulla comunicazione, ma non avevo mai avuto il tempo di sedermi e pensare, pensare a lungo, rivedendo con gli occhi del ricordo il volto dei miei insuccessi, analizzando i pensieri ed i sentimenti ancora vivi nel mio subconscio, cercando di creare una struttura logica capace di unire più di vent'anni di problemi degli adolescenti della scuola media superiore. Poi ho trovato questo decalogo del professor Alex Johnstone dell'Università di Glasgow che ordina i miei pensieri e mi suggerisce una strada migliore…
DIECI REGOLE PER CHI INSEGNA
1. Ciò che si apprende dipende da ciò che già si conosce e si capisce. (metafora di quanto detto dal pedagogista svizzero Pestalozzi :"Per condurre qualcuno non importa dove, bisogna prenderlo dove egli è".)
2. Il modo in cui si apprende è regolato da come si è riusciti ad apprendere con successo nel passato.
3. Per essere efficace, l'apprendimento deve connettersi alle conoscenze e abilità preesistenti arricchendole e ampliandole.
4. La quantità di materiale che può essere trattata nell'unità di tempo è limitata.
5. Per sentirsi a proprio agio il discente ha bisogno di rassicurazione e di retroazione e a tal fine le modalità di valutazione devono essere umane.
6. Si deve tener conto dei differenti stili d'apprendimento e delle diverse motivazioni.
7. Gli studenti devono consolidare il proprio apprendimento interrogandosi su ciò che avviene nelle loro menti.
8. Bisogna dare spazio alla soluzione di problemi veri e propri (non pure e semplici applicazioni di formule), in modo di mettere alla prova e rafforzare i nessi concettuali.
9. Si devono dare occasioni per esercitare la creatività, sostenere le proprie ragioni, mettersi alla prova e fare ipotesi.
10. Si devono dare occasioni per insegnare e spiegare (non si conosce realmente un argomento finché non lo si ha insegnato).
(Pubblicato sul N. 44 (settembre 1997) della Education Division Newsletter della Royal Society of Chemistry e su “La Chimica nella Scuola” n° 1 , 1998)
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